La sordità: parole chiave per capire il deficit

Dott.ssa Cristina Bergonzoni. Policlinico S. Orsola Malpighi Bologna.



A causa del mio lavoro, che e' quello di medico specialista in otorinolaringoiatria e audiologia, sposto il punto di vista rispetto a quanto si e' detto fino adesso: parlerò del problema della sordità in termini scientifici semplici poiché mi è stato chiesto di darvi, in un tempo relativamente breve, le parole chiave per capire questo handicap. Questa mia relazione è riferita in particolare alla fase della diagnosi della sordità infantile e della terapia riabilitativa con protesi acustica o impianto cocleare, cioè a ciò che facciamo, o dovremmo fare, nel momento in cui un bambino nasce o diventa sordo.

Per capire il problema della sordità infantile pre-linguale, il punto chiave, è comprendere l'importanza che ha nello sviluppo della persona il senso dell'udito: questo, tra i 5 sensi, e' il primo che si sviluppa nell'embrione, consentendo fin da subito all'individuo di mettersi in comunicazione con i suoi simili (diversamente dalla vista che permette di comunicare soprattutto con l'ambiente) ed andando a costituire la piattaforma che sostiene l'acquisizione del linguaggio.

E' chiaro che in un bambino, diversamente da quanto accade nell'adulto, l'instaurarsi di una perdita uditiva ha possibili effetti dannosi sullo sviluppo del linguaggio che saranno tanto maggiori quanto più la perdita uditiva e' precoce, grave e protratta nel tempo.

Come diceva prima la Dott. Frejaville l'incidenza della sordità infantile nei paesi occidentali è abbastanza modesta, sono previsti da 1 a 3 nuovi casi su mille neonati all'anno. Di questi, più o meno la metà sono affetti da una perdita uditiva grave o profonda.

In pratica nei centri di nascita di Bologna (Policlinico S.Orsola ed Ospedale Maggiore), di Bentivoglio e di Porretta, si prevedono complessivamente circa 8.500 neonati all'anno e quindi da 8 24 casi di sordità congenite, in media una decina di nuovi neonati sordi l'anno; questi dati coincidono con quelli esposti dalla Dott. Frejaville, di 55 nuovi sordi ogni anno in Emilia Romagna.

Aggiungerei il fatto che, se nei paesi occidentali la prevenzione primaria della sordità, variamente attuata (vaccinazione obbligatoria per la rosolia di tutte le bambine, prevenzione sulle madri in gravidanza, migliore assistenza al parto etc.), ha ridotto l'incidenza della sordità e delle altre condizioni di embrio-fetopatia, nei paesi non industrializzati, l'incidenza della sordità è ben più elevata, circa 5 volte superiore. Questo ha comportato, con l'immigrazione, un notevole incremento del numero di bambini sordi, che arrivano qui da altri paesi, spesso senza essere stati curati fin da piccoli, e con una condizione di bilinguismo in famiglia, il che rende più difficile l'approccio riabilitativo.


In base alla causa le sordità dei bambini sono distinte in 3 gruppi: genetiche, acquisite e sconosciute.

Le sordità genetiche, cioè trasmesse dai genitori attraverso il patrimonio genetico sono attualmente meglio diagnosticate grazie ai grandi progressi fatti in questi anni dalla genetica medica, che ha reso disponibili indagini ematochimiche specifiche per individuare molte (analisi molecolare sulla Connessina, Pendrina etc.), anche se non tutte, mutazioni responsabili di sordità.

Le sordità "acquisite o ambientali" sono dovute a varie cause che intervengono dall'ambiente esterno durante la gravidanza, il parto o successivamente in qualunque epoca della vita infantile. Le forme di sordità acquisite pre-natali si generano durante la gravidanza per infezioni che la madre può trasmettere al feto per via trans-placentare, sostanze tossiche che la madre può assumere ed agenti fisici cui essa risulti esposta (sono queste ultime poco rilevanti dal momento che si fa molta attenzione a eliminare la frequenza di ambienti di lavoro pericolosi delle donne gravide). Tutto l'evento parto, poi, con le problematiche ad esso correlate, è un momento critico: si possono avere varie manifestazioni patologiche ad insorgenza peri-natale (tra cui anche un'ipoacusia) per molti motivi, tra cui in particolare, deficit di ossigenazione ed ittero; fra le cause di sordità post-natale, poi, oltre ai traumi cranici ed alla sostanze ototossiche (farmaci in particolare), la più frequente e grave e' la meningite batterica.

Secondo il momento di insorgenza della sordità, la si definirà congenita se e' presente sin dalla nascita o ritardata, se si manifesta successivamente.

L'80% delle sordità infantili, da qualunque causa determinate, e' presente sin dalla nascita. Poiché è importante che la diagnosi della sordità infantile sia fatta il prima possibile, l'equazione è: "se l'80 % delle sordità infantili sono congenite, fin dalla nascita si dovrebbe teoricamente essere in condizione di diagnosticare, e quindi poi appropriatamente trattare, la maggior parte dei bambini sordi".

Esistono strumenti (apparecchi automatici per Otoemissioni ed ABR) piccoli, facili e molto rapidi da usare, poco costosi, poco invasivi ed utilizzabili su larga scala, che consentono fin dalla nascita di porre il sospetto di una sordità, di fare cioè uno "screening", separando, nel gruppo dei neonati quei soggetti probabilmente affetti da una sordità da quelli che probabilmente non lo sono. I soggetti che "non passano lo screening", cioè sospetti portatori di sordità, dovranno poi essere sottoposti a tests più accurati, cosiddetti di secondo e terzo livello, più complessi e costosi ed eventualmente anche invasivi, quando necessario, per arrivare ad una diagnosi precisa.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto la sordità infantile fra le condizioni patologiche che debbono essere oggetto di screening soprattutto per un rapporto favorevole costo/beneficio: infatti, un soggetto sordo pre-linguale, se diagnosticato e trattato precocemente ha un costo sanitario e sociale, nel tempo, molto minore di quello di un soggetto in cui la diagnosi e la riabilitazione siano state tardive. Lo screening uditivo può essere fatto su tutti i neonati (cd. screening "di massa") o solo su quei neonati in cui per l'essersi verificata una condizione nota come possibile causa di sordità (familiarità, sofferenza prenatale o durante il parto, etc?), ci sia maggiore rischio di trovare un'ipoacusia. Quest'ultimo tipo di approccio (screening sui neonati "a rischio audiologico") porta a dover esaminare solo il 10% dei neonati (contro la totalità) con un deciso risparmio in termini di costi (nel circondario di Bologna la differenza sta tra esaminare 8500 o 850 bambini) ma comporta la possibilità che sfuggano alcuni casi di sordità congenita(in cui la perdita uditiva non è dovuta alle cause note).

Lo screening audiologico neonatale "di massa" è diffuso da molti anni "a macchia di leopardo" sul territorio nazionale ed anche nella nostra regione; l'obbiettivo attuale è quello di implementarlo in tutti i centri di nascita.


I bambini che hanno un fattore di rischio audiologico, poi, se passano lo screening neonatale, dovranno essere seguiti anche nei periodi successivi (almeno fino ai 3 anni) per il rischio di comparsa di ipoacusia ritardata, e pure dovranno essere esaminati tutti i bambini in cui le persone che gli stanno attorno (genitori, pediatri, insegnanti) possono sospettare vi sia un'ipoacusia e/o che non sviluppano correttamente il linguaggio; lo stesso vale per i bambini adottati di cui non è nota la storia medica.


Se il bambino non passa lo screening, e quindi non si è sicuri che senta normalmente, deve essere fatta una diagnosi audiologica, con tests più accurati, adeguati all'età del soggetto."

Nei bambini più piccoli si fanno studi di funzionalità uditiva attraverso una metodica elettroencefalografica, chiamata ABR o BSER (potenziali evocati uditivi del tronco encefalico), applicabile durante il sonno: già dai primi mesi mesi di vita, questo test da' risultati ben correlati alla funzionalità uditiva ed elementi su cui basarsi per iniziare, eventualmente, un percorso di protesi acustica. Questo esame ha il limite che per perdite uditive oltre un certo valore la risposta scompare, per cui non possiamo quantificare bene l'entità del danno; inoltre l'ABR si altera non solo per problemi uditivi, ma anche per problemi neurologici. Quando la risposta ABR sia assente e/o vi siano disturbi neurologici associati si propone, talora, di fare un altro esame elettrofisiologico, chiamato ECoG (elettrococleografia), che richiede l'infissione di un elettrodo ad ago nel timpano, da effettuarsi in anestesia generale; questa indagine è richiesta in pochi, particolari casi.

Per i bambini più grandi, , a partire dai 6 mesi, si effettuano tests basati su risposte comportamentali ai suoni; queste indagini, di routine nei nostri ospedali, sono piuttosto semplici: si propone uno stimolo sonoro, ed associato ad esso uno stimolo visivo gratificante (ad esempio un giocattolo che si illumina) adeguato all'età del bambino; il bambino viene condizionato a rispondere a questi stimoli sonori, per ottenere quello visivo gratificante; con tecnici audiometristi esperti e bambini collaboranti si riescono ad ottenere informazioni uditive molto precise.

Gli esami possono essere fatti in campo libero con altoparlanti (COR) e nei bambini più grandi anche, con modalità di risposte più complesse, in cuffia (Play Audiometry); l'esame in cuffia consente di valutare la soglia uditiva di ogni singolo orecchio per diversi suoni.

La risposta viene riportata su un tracciato (AUDIOGRAMMA) che ci da' indicazioni immediate sulla capacità uditiva; in ordinate sono disposti i vari suoni (toni puri) che vengono proposti e in ascisse la soglia uditiva in decibel (tra 0 e 100, che corrispondono alla perdita rispetto alla funzione uditiva normale).

La linea dello 0 decibel indica che quel soggetto sente normalmente quel suono, più ci si sposta dallo 0 verso il 100 e più il soggetto ha bisogno di volume per sentire. L'elemento che dirime fra il poter udire bene tutte le componenti del linguaggio e non udirle più in maniera soddisfacente è il 40 decibel, cioè tra 40 e 0 decibel il soggetto sente comunque la voce, sotto questo valore non riesce a distinguerne più le componenti.

Nella diapositiva vedete rappresentata nell'area rossa la soglia uditiva dei soggetti normali, in nell'area verde la voce di conversazione e questi sono i vari livelli di ipoacusia classificati secondo una classificazione internazionale (BIAP); il soggetto normale, sente tutte le componenti della voce, anche il bisbigliato; il soggetto con sordità lieve sente comodamente tutte le componenti della voce a volume normale; quello con sordità media solo a volume alto; quello con sordità grave anche a volume alto sente la voce appena appena, come un bisbiglio. I soggetti con sordità severa o profonda stanno assolutamente fuori dal campo di udibilità della voce.

Se ricevete un bambino con una certificazione che attesti l'entità della perdita uditiva potete già capire, grazie a questa schematizzazione, la sua capacità di ascolto della voce umana.

Oltre all'entità della perdita uditiva bisogna anche tener conto del tipo di sordità (trasmissiva, percettiva o mista), dell'epoca di insorgenza (congenita o ritardata) e soprattutto della presenza di altri fattori di handicap (visivo, neuromotorio, intellettivo).

Un bambino che ha avuto una sofferenza perinatale può avere un problema uditivo frequentemente associato (un terzo dei casi) ad altri fattori di handicap, il che aumenta le difficoltà nella diagnosi e nella riabilitazione.


Lo specialista otorinolaringoiatra o audiologo dispone di strumenti che possono ormai correggere in maniera soddisfacente, pur con le dovute eccezioni, ogni tipo di sordità: per le sordità medie e gravi la protesi acustica è quasi sempre sufficiente a dare risultati molto buoni, gli impianti cocleari possono fare altrettanto nelle sordità severe e profonde. Entrambi questi presidi sono finalizzati a fornire al bambino la possibilità di acquisire il linguaggio orale, per corso nel quale il piccolo, diversamente dall'adulto, deve essere guidato, con il supporto di un team adeguato (neuropsichiatra infantile, logopedista, educatori e famiglia) che agisca in stretta collaborazione interdisciplinare.


La protesi acustica e' un amplificatore esterno indossabile che viene adattato in base ad una specifica procedura: le caratteristiche vengono prescritte da un medico specialista audiologo o otorinolaringoiatra, la protesi viene scelta dall'audioprotesista, che prende l'impronta del condotto uditivo, cui adatta la chiocciola, e definisce le caratteristiche elettroacustiche dello strumento attraverso varie sedute di taratura, ed alla fine di questo percorso (che può durare anche un tempo lungo) il medico verifica il risultato (collaudo), valutando che tutto sia stato fatto nel modo migliore; nel bambino tutto questo percorso deve essere seguito costantemente dalla logopedista che allena il piccolo ad utilizzare la protesi acustica e rispondere ai suoni, ed a fornire in tal modo le informazioni per capire se il trattamento si stia svolgendo in maniera adeguata.

La valutazione del risultato della protesizzazione nel bambino, dopo una verifica strumentale (misura del guadagno di inserzione), inizia dall'osservazione del suo comportamento con l'apparecchio (schede di valutazione tipo IT-MAIS) da parte del logopedista e dei genitori: si valuta se il bambino con la protesi fa mostra di sentire, se risponde alla mamma che lo chiama, a orientarsi verso la sorgente sonora, se la porta volentieri, e cosi' via.

L'esame comportamentale in campo libero con la protesi (COR con protesi) studia ancora i riflessi condizionati, questa volta con le protesi indossate al volume d'uso abituale: in questo modo possiamo verificare cosa sente realmente il bimbo con la protesi (e confrontando questo dato con quello ottenuto senza protesi, avere una misura realistica del "guadagno" offerto dagli apparecchi).

Questo e' un esame importantissimo perchè ci dice se con la protesi il bambino entra nell'area di comoda udibilità della voce.

Se un bambino con sordità grave (80 decibel di soglia in media senza protesi) con la protesi ha una soglia in media a 30-35 decibel, vuole dire che quel bambino può sentire tutte le componenti della voce ed il risultato della riabilitazione può essere buono.

Se un bambino con una sordità più grave ha con la protesi una soglia maggiore di 40 decibel, la voce non la sente comodamente ed il percorso riabilitativo con la protesi potrebbe non dare risultati soddisfacenti.

La soglia uditiva non è naturalmente l'unico elemento dirimente per prevedere il risultato riabilitativo, ma sappiamo che se, anche con la protesi, non c'è possibilità di sentire comodamente la voce, va considerata la possibilità di un impianto cocleare.

L'impianto cocleare non è un semplice amplificatore bensì uno strumento elettronico complesso dotato, oltre che di una parte esterna comodamente amovibile, anche di una parte interna che va appunto impiantata chirurgicamente, sacrificando la chiocciola (per disporre gli elettrodi al suo interno).

L'impianto cocleare è uno strumento di grande valore ed efficacia, ma rappresenta una scelta di non ritorno rispetto alla possibilità di utilizzare in altro modo quello stesso orecchio in un futuro: il genitore che deve scegliere per il proprio bambino ha un impegno piuttosto importante.

L'impianto cocleare ha dato in questi anni grandi soddisfazioni: i primi impianti per i bambini furono approvati circa 20 anni fa dalla FDA (Federal Drugs Administration) per gli US con limiti ben precisi (bambini di almeno 2 anni e mezzo con sordità profonda, ?) che, grazie ai risultati brillanti, sono stati recentemente ampliati (bambini di almeno 1 anno, con sordità severa e profonda?) con un aumento delle indicazioni.

L'impianto cocleare viene gestito (per quanto riguarda le indicazioni, l'intervento chirurgico, il successivo "mappaggio" etc.) in Centri esperti che sono distribuiti su tutto il territorio nazionale, cui è opportuno facciano riferimento i pochi pazienti che presentano un'indicazione a tale trattamento.

I mass-media hanno "pubblicizzato" impianti cocleari sempre più precoci nelle sordità congenite, in bambini di 6 mesi, 3 mesi, un mese di vita: val la pena di sottolineare che le linee guida internazionali fissano attualmente come età minima quella di un anno, questo perchè da un lato un anno di tempo è il tempo minimo giudicato necessario in una sordità congenita per fare una diagnosi certa, adattare la protesi acustica e vederne i risultati, iniziare un trattamento logopedico, ed allenare il bambino a rispondere ai suoni (elemento indispensabile per il "mappaggio" dell'impianto) e dall'altro serve per dare alla famiglia la possibilità di prendere serenamente una decisione. Impianti cocleari più precoci (salvo qualche eccezione) non migliorano il risultato sul linguaggio a 3 anni.

Va inoltre considerato il fatto che la decisione di un impianto cocleare, ovviamente spetta al genitore, sulla base del consiglio di un centro esperto che osservi ripetutamente il bambino nel tempo.

Nella fase del consenso informato deve essere sempre segnalata ai genitori anche la possibilità di terapie riabilitative diverse dal linguaggio orale (cui sono finalizzati la protesizzazione acustica e l'impianto cocleare), quale il linguaggio dei segni (LIS in Italia), che viene spesso preferita dai genitori non udenti di bambini sordi.